Quando è arrivato a Cosenza aveva l’aria spaurita del pulcino bagnato.
Sembrava sorpreso egli stesso della nuova vita che gli si stava aprendo davanti. Con un sorriso, dolce e incredulo, sembrava chiedere “io un calciatore professionista? Ma siete tutti matti?”.
E, invece, Roberto Ranzani, come al solito, aveva visto giusto. Lo aveva portato a Cosenza non più in tenera età, forte solo di esperienze dilettantistiche. Il fiuto gli diceva di avere di fronte un signor giocatore.
Era un interno, capace di fare il mediano e, all’occorrenza, di rilanciare l’azione con velocità. Un Tardelli in miniatura. Eppure, a guardarlo, sembrava lontano anni luce dall’idea del mediano grintoso. Non era alto, fisicamente sembrava, addirittura, gracile e, poi, il viso da bravo ragazzo non lo aiutava certo a suscitare il rispetto degli avversari.
Ma il rispetto, anzi la stima di avversari e compagni di squadra, Bergamini se la conquistava in partita. Non aveva paura di niente e di nessuno, né si faceva intimidire fisicamente da quelli più grossi di lui. Era capace di spezzare il gioco avversario e di riproporre immediatamente quello della propria squadra. Bruno Giorgi, per descriverne le doti, disse un giorno: “Bergamini è calciatore nella testa. Tutto quello che fa è finalizzato al rendimento che darà in campo. Non si distrae mai. È sempre concentrato su quello che fa. Allenare uno così è un gran piacere”.
Giorgi fu l’ultimo allenatore che lo ebbe a pieno servizio, benché, quell’anno, un lungo infortunio lo tenne lontano dal campo. Fu una fortuna per Giorgio Venturin, che prese il suo posto sostituendolo nei lunghi mesi di convalescenza.
Negli anni precedenti, Donato Bergamini è stato titolare fisso e inamovibile di una squadra vincente che, probabilmente, non avrebbe trovato il suo limite nella promozione in serie B. Ma le circostanze, purtroppo, portarono su altre strade.
Come quella strada, la litorale jonica, che avrebbe dovuto essere lontanissima da lui. Quella maledetta notte pioveva a dirotto e lui avrebbe dovuto essere in ritiro con la squadra.
Sui motivi che lo hanno spinto a prendere l’automobile, caricare la ragazza, e arrivare fino a Roseto Capo Spulico, sono ancora in piedi tante ipotesi. Così come non si ha alcuna certezza sul perché, ad un certo punto, Donato fosse a piedi sulla carreggiata. Restano tantissimi dubbi, a noi, ma sopratutto alla famiglia, che ancora oggi non sa perché ha perso un ragazzo d’oro che, se ne avesse avuto la possibilità, oggi sarebbe certamente un padre meraviglioso.
Cosenza lo ha pianto tutta insieme, unendosi intorno ai suoi compagni in una cerimonia funebre struggente, con la chiesa gremita ben al di là del sagrato e la stessa Piazza Loreto appena sufficiente a contenere la partecipazione affranta di una tifoseria e della intera città.
Quando Padovano segnò per lui, noi tutti alzammo gli occhi al cielo per un ultimo affettuoso saluto. Come abbiamo fatto per anni, passando da Roseto e fermandoci dinanzi ad un guard-rail coperto di sciarpe rossoblù. Ciao Denis, ti sia lieve la terra.
Piero Bria – Dir. Resp. Cosenza Channel