Quello che sta passando è l’autotreno carico di mandarini? No…forse è l’altro…forse è quello che s’intravede lì in fondo alla curva, quello di cui si scorgono in lontananza i fari, come gli occhi di certe volpi che incontri di notte per le strade di campagna. Brillano e per un attimo t’incantano; dimentichi il cammino da percorrere e i pensieri seduti al posto accanto al tuo. Eccolo che arriva a pochi metri quel tir. Sono sdraiato sulla scarpata che scende giù verso il mare, proprio sopra il chilometro 401 della Statale. Mi tengo a fatica su con le mani, perché le rocce pizzicano il sedere, mentre punto i piedi per non scivolare rovinosamente giù. Sento tanto freddo, piove. Vorrei urlare alle persone, quel gruppo di persone che aspetta nella piazzola sterrata proprio difronte a me, aldilà della strada. Vorrei urlare ma il freddo mi blocca in un tremore la gola e gli arti; riesco solo a rannicchiarmi. Mi accorgo d’essere nudo – come diavolo ci sono finito qui? – ho paura. Cazzo, forse ho guidato fin qui ubriaco e non ricordo nulla! E i miei vestiti? E perché ho questi graffi su braccia e gambe? Il cuore mi batte a mille e il tremore si fa più forte. Incontrollabile. Sento ululare dei lupi in lontananza, come quelli che Domizio mi raccontava d’aver udito una sera in una sosta proprio in quel punto della strada. Il sangue si gela. Alzo lo sguardo verso la piazzola – no, non può essere – alcune persone stendono sulla strada il corpo di un uomo. Sembra floscio come un tappeto arrotolato. Lo stendono e poi aspettano qualcosa. Sono agitati. Disperato cerco di urlare, ci provo con tutte le mie energie; in gola è come se avessi migliaia di spilli per lo sforzo. Quello è Denis! …so come andrà a finire, devo fermarli – Urlo, urlo sempre più forte, ma nessuno mi sente. Piango e sul mio viso cade la pioggia di una sera di novembre. Ho fatto decine di volte questo sogno. Le prime volte mi svegliavo di soprassalto in preda al panico. Poi qualche parte del mio subconscio ha come acquisito familiarità con quelle immagini e adesso non fa più male, almeno non mi lascia turbato al risveglio.
In questi quattro anni credo di aver visto nello sguardo e nei gesti di tantissime persone il medesimo coinvolgimento in questa storia; quel desiderio di porvi rimedio, di aiutare Donata e la sua famiglia a venire fuori da questo tunnel lungo 24 anni, di battersi e di far sentire la propria preziosa presenza. Incontro spesso quello sguardo fissando gli occhi di chi ha una sciarpa rosso-blu al collo, di chi ama la nostra terra, di chi odia le ingiustizie e con coraggio difende la verità. Ho avuto la fortuna di assistere alle molte iniziative che cuori e mani di tante persone hanno confezionato. Mani e cuori che le tessere di un’associazione non basterebbero mai a racchiudere. Un’associazione nata poco tempo fa, ma concepita una domenica di novembre di 24 anni fa da coloro che andarono, armati solo dei propri cuori, a sollevare il lenzuolo che nascondeva il corpo senza vita di Denis Bergamini e ritornando in città iniziarono a raccontare questa storia. Da allora molto tempo è passato. Molti pensieri hanno con tenerezza cullato nell’intimo di ciascuno di voi quello sfortunato ragazzo biondo; molti striscioni sono stati srotolati, molte bandiere hanno sventolato in suo nome. Piccoli gesti e straordinari dettagli che in questi anni hanno aiutato Donata, Domizio, Maria e Guido a percorrere gli ultimi metri per raggiungere la luce in fondo a quel tunnel. Mi piace ricordare la storia di una Signora, di cui non ho mai conosciuto il nome, che lasciava spesso fiori freschi sulla lapide di Roseto, visitata in ogni occasione dai familiari di Denis: “…non so chi sia questo ragazzo – recitava un bigliettino lasciato su quel pezzo di marmo – ma il suo sorriso e l’amore dei suoi amati tifosi mi è entrato nel cuore”.
If the kids are united…cantava una canzone che ascoltavo spesso da ragazzino. Credo sia significativa dello spirito che ha messo in questa storia la gente che abita i gradoni del San Vito tanto caro a Denis. Solo facendo gruppo e camminando nella stessa direzione si raggiungono certe vittorie insperate. Un primo luminoso traguardo è stato conquistato: riappropriarsi di un pezzo della nostra storia chiamato Denis Bergamini. Ci attende ancora un compito impegnativo, vigilare e restare accanto ai suoi familiari perché questo viaggio abbia come unico capolinea la Verità. Bisogna avere un ruolo di garanti, lontani da interessi personali, senza lasciarsi andare a facili sentenze e sete di giustizia sommaria. Non è vedere un volto dietro le sbarre che deve interessarci, accontentarci, ma piuttosto pretendere che certe domande abbiano precise risposte, cominciando dalle responsabilità di chi ha permesso che su questa vicenda calasse un silenzio lungo 20 anni. Restiamo qui. Vi osserviamo. Siamo le sentinelle della Verità.
Marco Ciporillo, associazione Verità per Denis