Morte Bergamini, per i giudici «Internò colpevole oltre ogni ragionevole dubbio»

le motivazioni

Morte Bergamini, per i giudici «Internò colpevole oltre ogni ragionevole dubbio»

Depositate le motivazioni della sentenza dello scorso 1 ottobre che ha visto la condanna a 16 anni per l’imputata accusata di omicidio in concorso con ignoti

di Francesco Veltri

COSENZA «In ordine al delitto p. e p. dagli artt. 110, 575-577, comma 1, nn. 2, 3, 4 in relazione al Part. 61 nn. 1 e 4 c.p., poiché, ottenuto un appuntamento con Bergamini Donato, in concorso con altre persone rimaste ignote, dopo averlo narcotizzato o, comunque, ridottone le capacità di difesa, ne cagionava la morte, asfissiandolo meccanicamente mediante uno strumento “soft” e ponendolo, già cadavere o in limine vitae, allo scopo che venisse investito da mezzi in transito, sulla strada S.S. 106, direzione Taranto, all’altezza del km 401 circa, comune di Roseto Capo Spulico, località Monica, dove, effettivamente veniva investito dall’autocarro Fiat 180Nc, targato RC307921, condotto da Pisano Raffaele (giudicato, separatamente, per il reato di cui all’art. 589 c.p.), che gli procurava lesioni da scoppio causate dallo schiacciamento addomino-perineale, con conseguente eviscerazione degli organi e rottura di grosso vaso arterioso, a sinistra. Con le aggravanti di aver commesso il fatto con un mezzo insidioso (lo strumento “soft” utilizzato per asfissiarlo), premeditazione, nonché di aver agito con crudeltà, in ragione dell’azione omicidiaria prima descritta, e per motivi abietti e futili, rappresentati dalla decisione della vittima, non accettata, di avere posto fine al rapporto sentimentale». Iniziano così le 502 pagine di motivazioni della sentenza del processo di primo grado sulla morte di Denis Bergamini (avvenuta a Roseto Capo Spulico il 18 novembre del 1989) che lo scorso 1 ottobre ha portato alla condanna a 16 di reclusione di Isabella Interno, ex fidanzata del calciatore del Cosenza. Il documento è stato depositato dalla presidente della Corte d’Assise di Cosenza (II sezione) Paola Lucente, insieme al giudice a latere Marco Bilotta e ai giudici popolari. Nella relazione finale vengono esposti tutti i passaggi processuali con i fatti e i procedimenti che si sono susseguiti nel corso degli anni. Viene esposta la personalità di Donato Bergamini, il rapporto tra lo stesso calciatore e Isabella Internò, l’ultima settimana di vita dello stesso Bergamini, le contraddizioni della cena della famiglia Internò tenutasi la sera della morte di Bergamini, la tragica morte e i giorni successivi dal tragico evento, a partire dal funerale tenutosi a Cosenza. Messi in luce anche gli accertamenti tecnici svolti nel corso del tempo da parte dei Ris di Messina e di Roma e dei Carabinieri di Cosenza e le risultanze medico-legali (con la svolta dell’esame della glicoforina) che, secondo la Corte, rivelano un quadro chiaro della dinamica del fatto delittuoso.
Una data particolare quella di oggi, 27 dicembre 2024, ricordata su facebook da Donata Bergamini, sorella di Denis, che coincide con la prima manifestazione del 2009, dei tifosi del Cosenza per chiedere giustizia sulla morte del calciatore. «A distanza di 25 anni esatti dal primo incontro – scrive Donata -. 27/12/2009…. I ragazzi sono scesi in piazza davanti al Tribunale di Cosenza, non hanno avuto paura a metterci la faccia».

«Donato Bergamini non si è suicidato»

«Donato Bergamini – spiega la Corte nelle sue motivazioni – non si è suicidato. Vieppiù non lo ha fatto con le modalità riferite dall’odierna imputata, unica fonte che ha sostenuto la versione dell’insano gesto. Tutte le risultanze acquisite, sia di generica, sia tecnico scientifiche, anche quelle emerse nei primigeni accertamenti, contraddicono inequivocabilmente questa ipotesi». «Non si spiega il perché – continua il documento – Bergamini avrebbe desiderato suicidarsi e per di più con modalità del tutto atipiche che non gli garantivano l’exitus ed, al contempo, lo inducevano ad una terribile sofferenza fisica. Concorda appieno, la Corte, con le conclusioni del sostituto Procuratore Generale di Catanzaro a sostegno dell’atto di appello proposto contro la sentenza assolutoria di Raffaelle Pisano. Così il Procuratore: “Non risulta che avesse mai esternato ad alcuno stato d’animo di depressione o di sconforto; era giovane, aveva successo, ragazze e denaro. Parenti, amici e compagni di squadra hanno concordemente riferito della sua grande volontà di vivere e della sua voglia di giocare una grande partita il giorno successivo…Dov’è allora quel “mal di vivere” che conduce al suicidio? Dov’è quel terribile tunnel di desolato sconforto che percorre colui che giunge ad darsi la morte?….Non ci si uccide portandosi un testimone appresso e non ci si suicida davanti a terzi: è una conclusione questa che gli studiosi traggono anche dall’analisi statistica del fenomeno. Il suicidio è un’invenzione distruttiva dell’io, che non ammette spettatori!”».

«Colpevolezza di Isabella Internò oltre ogni ragionevole dubbio»

La Corte, nelle motivazioni, evidenzia come «tutti i molteplici elementi considerati, di sicura valenza indiziaria, convergono verso la responsabilità dell’imputata per l’omicidio dell’ex fidanzato». «Ciascun indizio – aggiunge la Corte nella sua disamina – infatti, risulta integrarsi perfettamente con gli altri come tessere di un mosaico, che hanno contribuito a creare un quadro di insieme convergente verso la colpevolezza di Isabella Internò, oltre ogni ragionevole dubbio. Non può tacersi che la certezza del dato indiziante, in quanto categoria di natura processuale, non va confusa con la certezza del fatto da provare, giacché la caratteristica dell’indizio è quella di una certa ambiguità, proprio in relazione alla circostanza che sì vuole provare. L’indizio, invero, a differenza della prova, che è idonea ad attribuire carattere di certezza al fatto storico che si vuole provare non ha per oggetto un fatto direttamente dimostrativo della colpevolezza, ma un fatto suscettibile soltanto di essere assunto come indicativo della medesima. Esso deve essere certo non con riferimento al fatto diverso ed ulteriore, oggetto dell’accertamento penale, ma solo con riferimento all’oggetto diretto della prova, cioè al suo contenuto intrinseco. Ed è per tale ragione che la legge richiede, per affermare la penale responsabilità, l’esistenza di indizi plurimi, dotati del requisito della gravitàprecisione e concordanza. Ebbene – spiega la Corte – nel caso che occupa, il quadro indiziario raggiunto non lascia alcun spazio a versioni alternative, dotate di razionalità e plausibilità pratica, non essendo sostenibili, in base ai dati acquisiti al processo, quelle pur ipotizzate dalle difese dell’imputata o di fatto, comunque, scandagliate, analizzando la vita di Denis, la sua personalità, le sue abilità calcistiche, il suo rapporto con l’odierna imputata. Quindi – dice con certezza la Corte d’Assise di Cosenza – è possibile affermare che l’imputata sia responsabile dell’omicidio di Bergamini al di là di ogni dubbio ragionevole, posto che, secondo l’indirizzo consolidato della Suprema Corte di Cassazione, tale regola di giudizio implica che la pronuncia di condanna deve fondarsi su un dato probatorio acquisito che lasci fuori solo eventualità remote, pure astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura., ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta risulta priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana. E di tali eventualità remote questo procedimento è stato costellato, tuttavia il dubbio derivante dalle ipotesi alternative non è apparso razionale, né plausibile, ma fondato su ricostruzioni del tutto congetturali».

«Bergamini dovrebbe farti a pezzi come hai fatto con lui»

C’è un passaggio evidenziato dalla Corte che vede protagonista Michelina Mazzuca e suo marito Roberto Internò, cugino di Isabella su cui la stessa Corte ha chiesto alla Procura di Castrovillari di indagare. «La situazione – riporta il documento – trovava il suo culmine nella conversazione ambientale RIT 254/2019 del 2/4/2019 ora 16.33,23, nella quale Michelina si abbandonava a sfoghi disperati. Invero, dopo un parallelismo tra lei e la sorella di Bergamini, entrambe inconsolabili e che non si davano pace sulle modalità della morte dei loro cari, Denis da un lato ed il figlio Matteo, dall’altro, che Michelina diceva essere morto senza motivo, ad un certo punto Michelina diceva testualmente rivolgendo improperi al marito che le lanciava qualcosa alla gamba: “in c**o ai tuoi morti, Gesù Cristo dovrebbe fulminarti e Bergamini dovrebbe farti a pezzi come hai fatto con lui, vigliacco, bastardo, che cazzo vai trovando da me…”. Benché la conversazione è stata trascritta dal perito Zengaro con l’espressione al plurale “come hanno fatto con lui”, l’ascolto diretto della registrazione, cautamente effettuato dalla Corte, non tradisce ed è chiaro: “Bergamini dovrebbe farti a pezzi come hai fatto con lui….”», sottolinea la corte.

L’incontro con Tiziana Rota «il momento nel quale l’imputata manifestava di aver maturato il proposito criminoso»

La Corte rileva come l’incontro tra Isabella Internò e l’amica Tiziana Rota, avvenuto il 6 novembre 1989 a Rende, segni «il momento nel quale l’imputata manifestava di aver maturato il proposito criminoso. In quella circostanza – viene aggiunto – si mostrava alla Rota, seria e sconfortata, perché aveva avuto la consapevolezza che la relazione con Denis era definitivamente terminata. Anzi dopo il rifiuto della Rota ad intercedere in suo favore con la vittima, per convincerlo a riprendere la relazione, conscia che tutto era perduto, si abbandonava alle frasi “è un uomo morto […] Se non torna con me lo faccio ammazzare; piuttosto che sia di un’altra preferisco che muoia”». «Le espressioni mentre era seria, ci dice Tiziana Rota proferite – sottolinea ancora la Corte – lungi dall’essere iperboliche e/o meri sfoghi inconsistenti provenienti da una giovane ragazza delusa ed abbandonata dal fidanzato, tenuto conto delle emergenze successive – la morte in circostanze sospette – e della stessa condotta dell’imputata dopo l’evento mortale, assumono un significato univoco dì determinazione al delitto. La dichiarazione di intenti alla Rota è limpida: la frase se non torna con me lo faccio ammazzare; piuttosto che sia di un’altra preferisco che muoia; la morte intervenuta dopo dodici giorni con le modalità su descritte; il viaggio in Costiera dalla Rota dopo circa dieci giorni dal fatto con l’affermazione “era giusto cosi….”, ovvero era giusto che morisse, chiudono il cerchio sul contributo della Internò nel delitto di Denis. Né  – prosegue la Corte – si pone antitesi con tale esordio della determinazione criminosa, il timore palesato da Isabella, dei suoi cugini (due ragazzi mori, alti) che si avvicinavano alle due giovani donne e che inducevano l’imputata a riferire a Tiziana di cambiare argomento per non farsi sentire, perché se avessero saputo che Denis l’aveva lasciata lo avrebbero ammazzato».
Per la Corte «il sentimento di prudente remora di Isabella non è in contrasto con il suo palesato proposito di far male a Denis. Intanto, quanto dichiarato alla Rota è, come detto, un intento, che evoca quindi una generica progettualità criminosa suscettibile tuttavia di subire mutamenti, evidentemente, questi, impossibili se portata, quella, a conoscenza dei prossimi congiunti. In quel frangente, Isabella manifesta la sua volontà, ma vuole riservarsi il monopolio e la definitività della decisione, escludendo gli altri dalle informazioni che possono influenzarla. Inoltre è provato che un mese circa prima della morte, il calciatore avesse confidato a Michele Padovano che i genitori di Isabella e quindi il padre, dal momento che la madre ne era già al corrente, per come si è detto avevano da poco saputo dell’intervenuta interruzione di gravidanza, e dunque è ben possibile che i cugini Internò avessero già appreso dell’aborto dallo stesso padre di Isabella, oppure dalla sua viva voce. E lo stato d’animo di Denis di preoccupazione e malessere di quei giorni è confermato da Roberta Alleati e da Roberta Sacchi. Quest’ultima, durante la sua escussione dibattimentale riferiva che “lui ogni tanto ne parlava di questa fine storia con Isabella. Io ho fatto una battuta perché gli ho detto: “guarda che da quelle parti usano la lupara. […] e Denis rispondeva: mi sembra di sentire il mio papà. Anche il mio papà mi ha sempre detto così, ma voi dovete capire che è diverso giù, non è così, forse una volta”». Tuttavia – continua la Corte nelle sue motivazioni – «durante l’ultimo incontro in occasione della partita contro il Monza, il 12.11.1989, Denis sembrava aver cambiato idea».

«Denis sapeva di dovere risolvere questa problema che lo preoccupava»

«Dunque al giovedì 16 novembre – ricorda la Corte nel dispositivo – Denis sapeva di dovere risolvere questa problema che lo preoccupava. Ma ancora, proprio l’atteggiamento di riserva verso i cugini riscontra la consapevolezza, in capo all’imputata, della loro ostilità verso il calciatore e la sua volontà, siccome amareggiata ed offesa per l’affronto subito da Denis, di coinvolgerli nel suo intento di nuocere alla vittima. Da qui l’istigazione a dargli una lezione, con il concorso dei suoi congiunti, o semplicemente l’adesione rafforzativa del proposito esecutivo, che trova l’esordio proprio nell’incontro del 6 novembre, quando l’imputata si rendeva conto che il rapporto con Denis era irrecuperabile, perché non si sentivano più ormai da circa due mesi e che l’amica Tiziana non avrebbe fatto nulla per convincerlo a desistere dalla sua ormai irrevocabile decisione di lasciarla. E l’istigazione dei cugini, quanto meno a dare una lezione, un avvertimento incisivo alla vittima, con la rappresentazione che la cosa potesse degenerare in eventi estremi è una forma di concorso morale, di animazione dell’altrui proposito e di supporto consapevole alla condotta altrui, che nel caso dell’odierna imputata costituisce la genesi del suo contributo materiale, consistito nell’avere ottenuto l’appuntamento con Denis, per condurlo alla morte. Invero – sottolinea la Corte – è indubbia la natura del delitto di omicidio volontario, “a forma libera”; è un reato casualmente orientato, nel quale ogni forma di azione orientata all’evento assume disvalore penale per la preminenza del bene giuridico tutelato, che non ammette una parcellizzazione, né una tipizzazione delle condotte penalmente rilevanti. L’ipotesi alternativa, contenuta nella rubrica, della narcosi o, comunque, della riduzione delle capacità di difesa non scalfisce l’assunto accusatorio, non incide sulla validità del capo di imputazione e non integra alcuna violazione del diritto di difesa. Nello specifico, infatti, la dimostrazione della partecipazione di Isabella Internò alla fase ideativa o di preparazione del reato è nei fatti per come ricostruiti, che muovono dalle confidenze alla Rota, con manifestazione dell’intento criminoso; alla precostituzione dell’alibi con la Dodaro, alle telefonate ricevute dalla vittima nell’ultima settimana di vita; al sentimento di preoccupazione ricondotto esclusivamente all’affronto fatto ad Isabella per averla lasciata; alla ratifica postuma alla Rota, che era giusto che fosse morto». «Non si versa affatto in una situazione di indeterminatezza – viene aggiunto – ovvero di indifferenza probatoria dell’opzione casuale circa le concrete forme del manifestarsi della condotta concorsuale di tipo morale dell’odierna imputatali ben specificato ruolo della Internò nella fase ideativa, di adesione morale e di contributo materiale, per come si è detto non risentono dell’atipicità della condotta concorsuale positivamente stabilita dal modello codicistico dell’art 110 CP. D’altro canto in un processo di tipo indiziario, quale quello che occupa, a fronte della convergenza degli indizi, ritenuti gravi e precisi, la presenza di “zone d’ombra” nella ricostruzione delle modalità esecutive del fatto non impedisce di ritenere dimostrata la fattispecie contestata “al di là di ogni ragionevole dubbio” Né ritiene la Corte , alla stregua dei numerosi arresti giurisprudenziali, che vi sia alcuna violazione dell’art 521 CPP, ossia del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Tale violazione, per verità solo insinuata dalla difesa, ma motivata dietro l’asserita assenza di prova del fatto contestato in rubrica, non ricorre certamente nel caso che occupa».

«L’adescamento» di Bergamini mentre si trovava in ritiro con la squadra

«La forzatura dei tempi di esecuzione dell’azione delittuosa – continua la Corte – con adescamento di Denis, mentre si trovava al ritiro e, quindi, in una condizione di debolezza perché, messo alle strette in quel momento, non avrebbe avuto la possibilità di farsi accompagnare da altri suoi compagni all’incontro, onde potersi difendere ad armi pari, rivela la preordinazione al crimine degli esecutori materiali e della stessa imputata e la presenza necessaria di Isabella, all’appuntamento con il calciatore. Isabella, infatti, era l’unica persona che avrebbe potuto indurre la vittima, ligia alle regole, a lasciare il cinema Garden in quel momento; la sua presenza per condurre Denis a Roseto era necessaria, perché l’imputata costituiva il trait d’union tra la vittima ed i suoi aggressori. È certo che il povero calciatore sapesse di dovere regolare i conti con la famiglia Internò, pur ignaro delle conseguenze fatali di quell’appuntamento e che non avesse avuto scelta, in quanto, evidentemente, obbligato a lasciare il cinema per un regolamento di conti o, nella sua ottica, per la risoluzione di un problema urgente. Parimenti è certo – vanno avanti le motivazioni della sentenza – che confidava in un pronto rientro al ritiro “prima della fine del film” (così riferisce Luigi Fiorito, la maschera del cinema Garden con la quale il calciatore ebbe modo di parlare prima di allontanarsi da lì,- cfr. verbale di s.i.t. del 07.12.2017; e ancora “posso dire che ebbi l’impressione che Bergamini volesse rientrare in tempo per la fine dello spettacolo”, cfr. verbale di s.i.t. del 23.07.2012) e, comunque entro la serata, allorquando avrebbe dovuto saldare il conto delle duecento lire impiegate al motel Agip per fare una telefonata (si rinvia al verbale di s.i.t. del 29.11.1989 del segretario d’albergo Tucci Vincenzo). Ne consegue – riportano ancora le motivazioni della Corte – che il suo allontanamento alla volta di Roseto era frutto di un previo accordo con Isabella o forse con terzi intermediari, per come emerge dalla intercettazione ambientale dell’imputata con Katia e Giorgia, nella quale, alle domande ed alle perplessità di quest’ultima, che la esortava a dire la verità su quella serata, Isabella chiariva i dettagli dell’appuntamento e negava di avere parlato direttamente con il calciatore perché era stata contattata dalla madre, a sua volta contattata da un tale Andrea e che di questo era certa». La Corte sottolinea inoltre che «è verosimile un collegamento tra l’agito del 18 novembre e la telefonata del 13 novembre ad Argenta, nel senso che possono in questa trovarsi le motivazioni di quello: la telefonata lo fece rabbuiare, tanto da non volerne parlare con il padre, certo di poter risolvere da solo la questione. Ritiene la Corte che la telefonata fatta da Denis al Motel Agip nel primo pomeriggio di quel maledetto sabato, prima di recarsi al cinema, verosimilmente rivolta all’imputata, che da lì a poco avrebbe raggiunto sotto casa, si pone come la chiamata di risposta alla prima telefonata ricevuta quel pomeriggio in stanza, di cui ha profusamente riferito Michele Padovano, che aveva fatto impallidire il calciatore, tanto da porlo in uno stato di assenza e dì isolamento (“ho cominciato a vedere Denis preoccupato […], quella fu una telefonata che a lui lo turbò molto; lui mi guardava con questo sguardo assente come se mi volesse dire qualcosa che non mi disse mai”, cfr. pp. 60,62 trascr. ud. 30.11.2022) così anche Maltese: “solo che è arrivata questa telefonata e basta. […] Cheforse è questo il motivo che ha turbato Denispoi quando lrho visto io con lo sguardo perso nel vuoto” (cfr. p. 80 trascr. 23.06.2022). Ed entrambe le telefonate potrebbero trovare la genesi in quella precedente del 13 novembre al telefono fisso, che peraltro, il calciatore sapeva di dover ricevere. E che Denis fosse preoccupato ed i due ragazzi erano seri e pensierosi e non pareva che stessero facendo una gita, è riscontrato dall’informativa di Barbuscio e dalla sua deposizione al pretore di Trebisacce, oltre che dalla ferma volontà di Bergamini di farsi identificare dal militare, durante il posto di blocco delle 17.30, benché non gli fosse stato richiesto, quasi a volere lasciare traccia del suo passaggio da quella strada. L’incrocio dì queste emergenze dibattimentali è univoco e consente di ricostruire gli accadimenti in termini di alta probabilità: Denis, riceveva la telefonata in stanza, con cui veniva “invitato” a risolvere il problema che da giorni lo preoccupava e che gli era stato preannunciato ad Argenta: in quel momento, si determinava a compiere due azioni insolite, uniche, mai prima compiute: di recarsi al ritiro pre-partita con la sua macchina ed abbandonarlo anzitempo. Sapeva, infatti, che avrebbe dovuto abbandonare il cinema furtivamente per portarsi da Isabella. E così fece a bordo della Maserati. Dunque in quest’ottica la pretesa telefonata di Denis ad Isabella – peraltro indimostrata – non inficia rimpianto accusatorio, perché non prova affatto l’iniziativa del calciatore di recarsi all’appuntamento, che farebbe cadere la tesi dell’agguato, secondo le attente difese- ma, viceversa la configura come l’ultima telefonata, in risposta ad una prima avvenuta in stanza, con la quale gli veniva imposto quell’appuntamento in Roseto, che sarebbe avvenuto con la necessaria presenza di Isabella, forse, quale garanzia, nell’ottica del calciatore, di una sua possibile tutela, dalle eventuali iniziative nefaste dei suoi aggressori». «La telefonata ricevuta in stanza – aggiunge la Corte – non è smentita per il buco dei turni dei receptionist dalle 15 alle 15.30, dato ricavabile dall’incrocio delle dichiarazioni di Emilio Prezioso e Vincenzo Tucci, in servizio, quel 18.11.1989, rispettivamente fino alle ore 15:00 ed a partire dalle ore 15:30. Ritiene la Corte che il concorso dell’imputata sia vieppiù dimostrato dalla precostituzione dell’alibi con le vicine di casa, Carmela e Barbara Dodaro. La costanza e precisione del narrato di queste due testimoni induce la Corte a non metterne in discussione la veridicità del contenuto ed a ritenere di certa verificazione il fatto che Isabella si fosse portata a casa loro intorno alle ore 15.00 per comunicare a Carmela di volere uscire con lei, perché non aveva impegni quel pomeriggio, per poi modificare i suoi intendimenti, dal momento che era stato Denis a cercarla, proprio mentre si trovava a casa delle due ragazze, “perché, avrebbe dovuto dirle qualcosa di importante” (cfr. p. 32 trascr. ud 28.04.2023)». «In disparte ogni considerazione sulla contraddittorietà delle dichiarazioni di Concetta Tenuta in merito alla telefonata di Denis, di cui sì è detto, la presenza di Carmela sulla strada, nel momento dell’arrivo del calciatore, così come l’avere attribuito alla vittima l’iniziativa inaspettata della telefonata costituivano un alibi perfetto a sostegno della buona fede della Internò e della estemporaneità dell’appuntamento, per di più avvenuto su richiesta della vittima. Tanto che nel primigenio verbale di spontanee dichiarazioni di Isabella della stessa sera dell’accadimento, la giovane donna si premurava di riferire che all’appuntamento con Denis era presente Carmela Dodaro. Eppure militano per la precostituzione di un alibi: a) l’eccezionalità della richiesta di Isabella di uscire con la vicina di casa, dal momento che ciò non si era mai verificato prima, perché le due ragazze avevano una frequentazione circoscritta al cortile; b) l’eccezionalità delle confidenze rivolte a Carmela e relative agli incontri con Denis, che erano sempre avvenute a cose fatte e mai prima del loro verificarsi. c) l’eccezionalità e la stranezza della volontà di essere accompagnata sul vialetto di casa, sì da farle vedere il sopraggiungere del calciatore alla guida della sua macchina. Sarebbe stato, dunque fisiologico, che l’imputata avesse comunicato alla vicina che, così come concordato, a causa di un diverso impegno, non sarebbe potuta uscire con lei quel sabato, anziché riferirle minuziosamente dell’appuntamento con la vittima. Così come non si spiega diversamente, la richiesta a Carmela di accompagnarla in strada in attesa dell’arrivo di Denis. Ma tant’è».

«Il dibattimento restituisce l’esistenza di un duplice alibi falso creato dall’imputata»

«Il dibattimento – secondo la Corte – restituisce l’esistenza di un duplice alibi falso creato dall’imputata. Il primo – quello con la Dodaro – tutela se stessa: costruisce la natura occasionale dell’incontro con Denis e cristallizza il fatto che sia stato lui a cercare lei. A parere della Corte non c’è altra razionale lettura dell’evidenza disponibile: non avrebbe senso sostenere che la prospettazione dell’imputata sia frutto del suo narcisismo (io mostro alla mia amica che ancora, nonostante tutto, Denis mi cerca), posto che l’esordio del dialogo non sarebbe allora stato quello di proporre un’uscita insieme. Se l’incontro è occasionale e lui passa a prendere lei, allora lei è mero spettatore di quello che accade subito dopo. L’alibi può funzionare. Il secondo – le meschine fandonie sulla morte dell’ex compagno – tutela anche i correi. E chi si vuole tutelare, a distanza di 35 anni? Chi, dopo una vita trascorsa in un ambiente ostile (quello della cittadinanza mossa da intenti dì giustizia, ma ignara delle regole della legalità)? Chi, con il rischio concreto di una carcerazione vita natural durante? O cosa? L’onore? Il suo e della sua famiglia? La risposta della Corte è in motivazione ed è integralmente condensata in dispositivo, al dì là di ogni ragionevole dubbio come è noto, a dispetto della mancanza o del fallimento dell’alibi, che è irrilevante a fini probatori, in quanto costituente elemento di segno neutro, la proposizione di un alibi mendace è valutata sfavorevolmente nei confronti dell’imputata, poiché tale comportamento rivela una consapevolezza della illiceità della condotta, che si mira a nascondere alla giustizia». «Dunque, oltre alle menzogne ripetute per anni sulla dinamica della morte – evidenzia la Corte – la precostituzione dell’alibi falso da parte dell’imputata, sì incrocia perfettamente con quella dei parenti Internò sulla presunta cena del sabato 18/11/ 1989 e della zia Assunta Trezzi sulla volontà -non ricambiata- di Denis di sposare la nipote , tesa a far vacillare la ritenuta causale del delitto. Peraltro le divergenti emergenze acquisite hanno evidenziato come quel pomeriggio Isabella aveva almeno altri due impegni: il parrucchiere con la madre e 1 accompagnamento della cugina Loredana ad acquistare l’abito da sposa, quest’ultimo, poi non avvenuto per il malore della futura suocera, circostanze, maldestramente introdotte nel dibattimento, per nulla riscontrate e totalmente taciute a Carmela Dodaro , ma che dimostrano il tentativo dell’imputata e dei suoi prossimi congiunti di nascondere la programmazione del delitto. Infine la condotta dell’imputata, successiva all’evento mortale rivela il suo atteggiamento di rivalsa e di finto dispiacere per la morte dell’ex fidanzato da cui è generata la artata e finta ricostruzione degli accadimenti. Invero, il tono pacato e distaccato alle telefonate con Marino e l’allenatore Simoni, allorquando comunicava loro del tragico episodio; la volontà immediatamente palesata ai compagni di squadra di Denis cd alla stessa famiglia Bergamini di avere delle pretese sulla pregiata autovettura che costituiva l’ultimo regalo di Denis; il fatto che si fosse preoccupata nell’immediatezza di ritornare a Cosenza e che non avesse pensato di avvisare le forze dell’ordine dell’accaduto; la circostanza che volle recarsi al motel Agip per unirsi alla squadra la sera stessa dell’evento; il viaggio alla volta di Salerno con la ratifica della condotta delittuosa alla Rota “era giusto così”; le domande continue rivolte ai compagni di squadra, se credessero alla sua versione dei fatti , che ripeteva “come un disco rotto” se potesse subire una qualche conseguenza a seguito della sua presenza sul luogo ove la vittima si era suicidata; l’ostentata presenza in prima fila ed attorno alla bara durante la cerimonia religiosa del funerale unitamente ai suoi parenti, tale da oscurare quella della famiglia della vittima; la volontà di fare rientro sull’autobus unitamente ai compagni di Denis, benché la relazione tra i due fosse finita, per sua stessa ammissione da almeno un paio di mesi sono elementi che militano per il suo desiderio di ostentazione del ruolo di vedova inconsolabile . come a volere riparare, di fronte ai suoi familiari, l’onore ferito per l’abbandono, specie dopo l’interruzione di gravidanza cui non era conseguita alcuna promessa di matrimonio. Una dimostrazione all’estremo della ricomposizione del rapporto con Denis, che ancora una volta l’aveva cercata e voluta negli ultimi istanti di vita, nei quali proferiva al suo indirizzo la improbabile frase “ti lascio il mio cuore ma non il mio corpo!”».

«Una pianificazione portata avanti senza soluzione di continuità»

Nelle motivazioni la Corte insiste sul fatto che «il contributo di Isabella Internò all’omicidio dì Donato Bergamini si sia articolato in più momenti, essendo ella risultata presente sui luoghi ed avendo tenuto, in modo consapevole e volontario, una condotta causalmente rilevante nelle diverse fasi della sua realizzazione». «Una pianificazione – viene scritto nella sentenza – portata avanti senza soluzione di continuità, a far data almeno dal 6/11/89, ovvero dall’incontro con la Rota, dopo aver preso atto definitivamente dell’irrevocabilità del rifiuto opposto dalla stessa e della indisponibilità della amica di mediare».

La condanna

La Corte nella sua sentenza ha dichiarato Isabella Anna Internò «colpevole del reato a lei ascritto, escluse le circostanze aggravanti della crudeltà e dell’avere agito con mezzo venefico o insidioso» e concesse all’imputata «le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente alle residue aggravanti», l’ha condannata a 16 anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. L’imputata è stata condannata anche all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, nonché all’interdizione legale per la durata della pena. Disposta anche «la trasmissione degli atti al pm in sede nei confronti di Trezzi Assunta, Tenuta Concetta, Internò Roberto, Internò Dino Pippo, Mazzuca Michelina, D’Ambrosio Luigi e Pisano Raffaele, come richiesto dal pm». Trasmessi gli atti al pm di Castrovillari «affinché valuti la posizione di Internò Roberto (cugino di Isabella Interno, ndr) in relazione all’articolo 575 del codice penale. (f.veltri@corrierecal.it)

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