Ancora oggi, parlare dell’insoluto caso legato alla morte di Denis Bergamini, è un dovere.
Quel che fa più male è soprattutto che, se all’epoca, più stampa e più colleghi si fossero occupati del caso Bergamini – dimostrazione lampante del ponte di intreccio tra il calcio e il malaffare – forse non saremmo qui, a distanza di tanto tempo, a parlarne ancora, ed a cercare la verità.
Era il 1982, e tirai fuori lo scandalo di Italia-Camerun ai Mondiali di Spagna. La storia di una partita comprata, con l’intervento di esperti di “scommesse” e camorristi. E già all’epoca mi misero a tacere: persi il posto a “Repubblica”, ed ebbi problemi di tutti i tipi, in quegli anni. La questione è semplice: se uno tocca determinati fili, muore. Perché la stampa italiana non è stata mai completamente libera, ma piuttosto settoriale.
Quando è venuta fuori la storia di Denis, la tragica storia di un palese omicidio fatto passare per suicidio, ne scrissi immediatamente su un periodico politico, e non sportivo, dal nome “Rinascita”. Non impiegai molto a capire che era una “storiaccia”. Leggo le cose sportive italiane, e quindi anche l’omicidio Bergamini, come un’esemplificazione del costume e degli intrecci del Paese. Era il 1990, e feci addirittura leggere un mio articolo, sotto forma di pseudo-sceneggiatura, a Franco Rosi, proponendogli di lavorare ad un film su questa storia. Film che poi, per tutta una serie di motivi, non si fece.
E’ lo sport stesso ad uscire malamente da questa vicenda. E’ una questione di vasi comunicanti. In tal senso, sport e società sono più che mai collegati. Allo sport si attribuisce una funzione di ricreazione, lo si vede come un “diversivo” da tutto ciò che non va, perché distrae. Ma se anche lo sport rappresenta ed esemplifica la negatività e le nefandezze che vivono al di fuori da esso, allora c’è qualcosa che inevitabilmente salta, in questo circuito. Ecco perché la stampa preserva lo sport: o meglio, non vuole uno sport pulito in un Paese che non è pulito. Quel che si vuole è semplicemente il mantenimento di un “brand“.
D’altra parte la stampa stessa, passione e interesse, in questa storia, non ne ha messo mai. Se i media un giorno dovessero appassionarsi davvero a questa vicenda, significherà che tutto sarà cambiato. Ma non accadrà, perché non l’hanno fatto per 23 anni. Farlo adesso significherebbe solo tramutare in ‘merce’ la notizia di un omicidio, fatto passare per suicidio in modo vergognoso, e sepolto nell’indifferenza e nell’ignoranza per così tanto tempo.
Se dietro tutto questo c’è una storia banale – anche se non ci può mai essere una storia banale dietro una morte -, nonostante tutto la verità verrà fuori, un giorno. In tal senso Domizio, il papà di Denis, quando disse che non sapremo mai tutta la verità sulla morte di suo figlio, avrà avuto torto.
Solo allora ci chiederemo come mai è stata nascosta per tutti questi anni. E forse capiremo che le indagini non fatte, e l’indifferenza della stampa, avranno rappresentato un concorso di colpa grave quasi quanto l’omicidio di Denis.
Ma se invece l’omicidio di Bergamini rimanda ad altri poteri e ad intrecci perversi, non verrà fuori niente. Purtroppo.
Oliviero Beha – Giornalista, scrittore e conduttore radio-televisivo – olivierobeha.it