L’Italia è il paese che ha fatto della doppia verità una costante pericolosa. C’è una fastidiosa e reiterata dicotomia tra versioni ufficiali e ufficiose -ma verosimili-, con in mezzo le vittime e le loro famiglie, costrette ad inseguire verità nascoste, spesso in solitaria, trasformandosi da cittadini offesi in detective. Un paese in cui è istituzionalizzata la verità storica, quando quella giudiziaria fa acqua da tutte le parti. Internet non ha la possibilità – e nemmeno il compito- di ristabilire i fatti, ma offre potenza ai canali dello sconcerto e dell’indignazione.
Senza il blog della famiglia, la vicenda del giovane Federico Aldrovrandi, ucciso a Ferrara durante un controllo di polizia, sarebbe rimasta sepolta sotto un mare di menzogne e connivenze. Senza il tam-tam della rete, il caso di Stefano Cucchi sarebbe stato derubricato a poche righe in cronaca.
E’ impossibile ipotizzare che cosa sarebbe successo vent’anni fa -quando le lettere si battevano a macchina e impazzava la carta carbone- se alle richieste di verità e giustizia su una morte mai chiarita, quella del calciatore del Cosenza Donato -per tutti Denis– Bergamini, si fosse affiancato massiccio il popolo di internet e dei social network. Sicuro è che grazie a Facebook è possibile preservarne la memoria e rilanciare le iniziative pubbliche di chi non crede alla versione ufficiale del suicidio del calciatore romagnolo.
Il gruppo dedicato a Denis conta più di cinque mila (all’epoca, oggi quasi 11mila, n.d.r.) iscritti, ha organizzato manifestazioni e raccolte fondi, dando nuova linfa ad una inchiesta che è vicina alla richiesta di riapertura, in sede giudiziaria. Eugenio Gallerani, l’avvocato che segue il caso per conto della famiglia Bergamini, lo conferma in questa intervista. “Ci sono elementi nuovi, emersi negli ultimi mesi, che possono riaprire i giochi. Sono fiducioso”. I messaggi lasciati dagli utenti sul muro del gruppo Verità per Donato Bergamini sono pieni di indignazione, civile. Giuseppe per esempio scrive “ancora quanta omertà bisognerà accettare? dopo vent’anni, ancora, i vigliacchi nascondono la verità… che prima o poi verrà a galla..”. E ancora, Diki punta il dito contro la stampa: “ma perchè tutto questo silenzio dai media?”. C’è spazio anche per gli auguri di Pasqua dedicati a Denis, per una raccolta di articoli sul caso e per foto vecchie interviste del biondo centrocampista ai giornali locali calabresi.
“In tutti questi anni non abbiamo mai smesso di lottare, spesso ci siamo sentiti soli” racconta Donata Bergamini, la sorella del calciatore che Carlo Petrini ha definito suicidato nell’omonima inchiesta uscita per Kaos “e oggi potremmo davvero essere vicini alla svolta. Una spinta è arrivata anche da Facebook, dopo tanti anni in cui ci siamo sentiti soli in questa battaglia per la verità. Vogliamo sapere chi ha ucciso mio fratello. E’ cominciato tutto ad Agosto. Ho tre figli. La più grande, Alice, era il giocattolo di Denis, l’ultima volta che ci siamo visti le aveva portato un regalino per il compleanno. Erano attaccatissimi. Poi ho avuto due gemelli, hanno diciannove anni, si chiamano Andrea e Denis. Giocano a calcio e hanno scelto l’Imolese e il Russi, le squadre giovanili dello zio. Denis, navigando su internet, ha scoperto un gruppo dedicato allo zio. Anche se non l’hanno mai conosciuto, i due gemelli questa storia se la portano dentro. All’inizio li avevo sconsigliati, avevamo avuto esperienze spiacevoli, ma di nascosto mio figlio ha preso contatto con gli altri iscritti e si è fatto una idea molto positiva di loro. Cosi ho aderito anch’io e il gruppo è diventato uno dei nostri punti di riferimento. Molti membri hanno letto il libro di Carlo Petrini, c’è gente che si è appassionata alla storia di mio fratello, tifosi del Cosenza che l’hanno visto giocare, altri che semplicemente ne hanno sentito parlare e vogliono vederci chiaro. Cosi mi sono iscritta anch’io e sono successe tante cose in questi mesi”.
Un nuovo avvocato difensore, diverse trasmissioni televisive nazionali, articoli di giornale, il gruppo su Facebook: la storia di Denis è tornata alla ribalta. Donata ha affiancato massicciamente Domizio, il padre, in una battaglia in cui depistaggi, minacce, errori nelle indagini, omissioni e colpi di scena si sono succeduti per vent’anni.
E’ il 18 novembre del 1989 quando Donato Bergamini lascia il cinema Garden di Rende dove la squadra del Cosenza è in ritiro precampionato. Sono le quattro del pomeriggio. Un’ora prima ha ricevuto una telefonata in albergo. Michele Padovano, il centravanti con cui divide casa, ritiri e scorribande, ha notato un repentino cambiamento d’umore. Denis si è adombrato, il volto fino a quel momento disteso e rilassato si è fatto preoccupato, e pallido. Non c’entra la partita del giorno dopo contro il Messina. La stessa cosa è successa il Lunedi precedente, nella casa della famiglia, durante la cena. Dopo aver risposto al telefono, Denis ha cambiato umore, il padre lo ha visto sudare freddo. Domizio è preoccupato, forse intuisce qualcosa. Domenica pomeriggio, in trasferta a Monza, si era lamentato dell’atteggiamento generale delle squadre -molli, poco convinte, roba da pareggio concordato- e aveva polemicamente promesso al figlio di non andare più a vederlo giocare fin quando non si sarebbe deciso a cambiare squadra. Non è il primo episodio poco chiaro che ruota intorno alla squadra. L’estate precedente, Denis, uno dei giocatori più amati dai tifosi rossoblù, era stato vicino a lasciare Cosenza dopo cinque anni di permanenza. E’ forte, molto amato dai tifosi e ben ambientato, non è giovanissimo ma potrebbe arrivare una buona occasione dalla Serie A. Ha ricevuto offerte dal Parma e dalla Fiorentina, ma le trattative si sono arenate ad un passo dalla conclusione.
Domizio Bergamini non si fida dell’ambiente che circonda Denis, un ragazzo sensibile, gentile, che pensa esclusivamente al calcio e a tutti i vantaggi di un mondo fatto di molti soldi, macchine veloci, ragazze disponibili. Un ambiente che la famiglia non ama: troppo distante dalla natia Ferrara, troppo lontano anche per mentalità. Denis ha chiuso da qualche tempo una relazione con una ragazza cosentina, Isabella: i due si sono conosciuti quando lei era ancora minorenne. I rapporti sono rimasti comunque cordiali: si sentono e ogni tanto escono insieme. Sin dall’estate, Denis ha una relazione con una donna romagnola, le intenzioni sono piuttosto serie, i due hanno passato insieme qualche giorno durante le vacanze. Si conoscono sin dai tempi in cui Bergamini giocava nel Russi, si sono rivisti dopo tanti anni, ed è sbocciato l’amore. Per il calciatore, però, è ancora presto per presentarla in famiglia. Progetta di portarla a casa per Natale, e di fare una sorpresa ai genitori e alla sorella. L’estate successiva, si sarebbe parlato addirittura di matrimonio.
Giovedi sera, due giorni prima di morire, Denis e la fidanzata, che abita a Russi, hanno un contatto telefonico. Il calciatore le riferisce una certa preoccupazione. “Qualcuno mi vuole male a Cosenza”. La ragazza nota che la voce di Denis è strana, poi il calciatore cambia discorso, e come a rassicurarla, le promette di dedicarle un gol nella partita della domenica successiva.
Sabato mattina Bergamini arriva per primo al campo e in allenamento sprona i compagni. E’ una voce molto rispettata nello spogliatoio. Le cose non vanno bene, il Cosenza galleggia in zona retrocessione. Si svolge la sessione di rifinitura che anticipa la partita contro il Messina. La gara è sentitissima. A fine allenamento, è carico e per rompere la tensione, progetta uno scherzo ad un compagno. Fa trovare al capitano della squadra i calzini tagliati e nello spogliatoio tutti ridono di gusto.
Dopo pranzo, Denis e Michele Padovano sono in camera per il riposo. Denis riceve la telefonata di cui riferisce Padovano. Dopo aver riappeso, Bergamini cambia espressione, fissa un punto nel vuoto, interrogato dall’amico sarebbe sul punto di riferirgli qualcosa, ma alla fine desiste. La carica per la partita, e il buon umore scompaiono di colpo. Tre telefonate in una settimana: in due Denis viene probabilmente minacciato (Lunedi e Sabato in albergo), nella terza (quella di Giovedi) riferisce alla fidanzata ferrarese le sue preoccupazioni. In camera Padovano preferisce non insistere: sarà -come ha ammesso in diverse circostanze- uno dei più grandi rimpianti della sua vita.
Un addetto del club bussa alla porta. E’ arrivato il momento di andare al cinema. Bergamini arriva sul posto con la sua Maserati, a bordo c’è anche un massaggiatore. Questa circostanza rappresenta uno dei nodi centrali dell’intera vicenda. E’ un fatto è molto strano. Il centrocampista non prende mai la sua spider per raggiungere il ritiro, non si fida a lasciare la decapottabile scoperta in un parcheggio non custodito. Si può dedurre che fosse sicuro di lasciare il cinema e di dirigersi altrove. E’ uno dei più pignoli del gruppo, e in vita sua non aveva mai abbandonato un ritiro.
Gli accordi con il club sono precisi. Quello del cinema è una abitudine del sabato pomeriggio. I giocatori possono scegliere una delle tre pellicole nella multisala, ma non possono lasciare il cinema per nessun motivo: sono ufficialmente in ritiro. Nell’atrio del cinema, prima di entrare in sala Denis telefonerebbe all’ex fidanzata Isabella. Un compagno di squadra, Sergio Galeazzi, riferisce di aver notato fuori dalla galleria due uomini. Poi, mentre scorre la pubblicità, di aver visto Denis lasciare la sala. Galeazzi non può affermare con sicurezza che siano usciti insieme dal complesso, ma il dubbio resta. Anche perchè dal momento in cui Denis lascia la sala, non ci sono più certezze.
Il corpo senza vita di Donato viene rinvenuto attorno alle diciannove sulla Strada Statale 106 in direzione di Taranto, all’altezza di Roseto Capo Spulico. Piove. La statale è soprannominata “la strada della morte” per i tanti incidenti stradali che l’hanno colpita. Il luogo del ritrovamento del cadavere dista circa cento chilometri dal Cinema Garden. Sul posto c’è l’ex fidanzata, Isabella, che riferisce di un “tuffo” del centrocampista, “come in piscina”, al passaggio di un autotreno, che lo avrebbe trascinato per sessanta metri. Dopo l’impatto, sul posto sarebbe arrivata un’altra macchina. Il conducente -che non sarebbe mai stato identificato- racconta di aver lasciato sul posto la moglie incinta, di essersi messo alla guida della Maserati e di aver raggiunto con Isabella un bar-ristorante nelle vicinanze. Dal telefono a gettoni partono tre telefonate per avvisare della morte di Denis, ma nessuna è destinata ai Carabinieri. La prima raggiunge la madre di Isabella, la seconda l’allenatore cosentino Gigi Simoni, la terza Francesco Marino, un compagno di Denis che con la squadra era rientrato al Motel Agip di Rende, sede del ritiro, per la cena. I Carabinieri arrivano sul luogo dell’incidente autonomamente, avvisati da un automobilista di passaggio che chiama la stazione di Rocca Imperiale. I militari trovano sul posto il cadavere e il camionista. La tesi del suicidio viene accettata senza supplementi di indagine. Nei referti dei Carabinieri, la Maserati cambia addirittura posizione. Prima sarebbe stata ritrovata davanti al ristorante, poi sul luogo dove è posato il corpo di Denis.
Contraddizioni che non spostano di una virgola la versione ufficiale. Denis, oppresso del mondo del calcio, si sarebbe gettato sotto il tir in preda ad un raptus. Isabella racconta che il centrocampista è passato a prenderla a casa, dopo aver lasciato il cinema, e di essersi messo in viaggio verso Taranto. Di lì, con in tasca cinquecento mila lire e un assegno non intascato, si sarebbe imbarcato lasciando per sempre l’Italia, per provare a rifarsi una vita. E’ noto che dal Porto di Taranto non partano navi per destinazioni esotiche. Arrivato all’altezza di Roseto Capo Spulico, avrebbe parcheggiato la macchina -all’interno della quale sarebbe rimasta Isabella-, provato a fare l’autostop per qualche minuto, e si sarebbe gettato sotto un tir Iveco carico di centotrenta tonnellate di mandarini in preda ad un raptus.
Donata e Domizio si mettono in viaggio e raggiungono la Calabria a tarda notte, dopo un viaggio di oltre mille chilometri. Il Brigadiere della Stazione di Roseto Capo Spulico decide di ricevere solo il padre Domizio, che deve aspettare che il militare finisca di farsi la barba. Gli racconta che Denis si è suicidato. Lo rimanda all’obitorio dove Domizio e Donata vengono rimbalzati per ore da una stanza all’altra dell’edificio prima di vedere il corpo del congiunto. All’immediata incredulità dei parenti per un gesto incomprensibile, si aggiungono una serie di circostanze strane. Il corpo di Denis non è sfigurato, nonostante il presunto trascinamento per oltre sessanta metri. Il volto è perfettamente integro. I vestiti non ci sono e non saranno mai consegnati alla famiglia. Al loro arrivo all’obitorio sono presumibilmente già stati inceneriti. In caserma, poi, Domizio ha ricevuto un orologio che funziona perfettamente, e che non ha nemmeno un graffio. Tempo dopo, la famiglia entrerà in possesso delle scarpe che Denis indossava quel giorno. Un modello di camoscio chiaro. Sono intatte, senza graffi, e senza nemmeno una traccia di fango, nonostante la pioggia battente del pomeriggio. Basterebbero questi dati evidenti, e una minima dose di buon senso, per pianificare nuove indagini e approfondimenti. La famiglia di Denis è sconvolta. Il calvario è solo all’inizio. Il dolore per la perdita di una persona cara, negli anni migliori, al culmine di una carriera di successo e con una gran voglia di vivere addosso, si aggiungono le evidenti incogruenze delle autorità nel racconto della dinamica degli eventi, e la sensazione che qualcuno voglia sporcare il ricordo di Denis. Non vengono nemmeno prese in considerazione le testimonianze dei compagni di squadra e della famiglia, che descrivono un ragazzo sereno e senza particolari problemi. Per gli inquirenti tutto è chiaro, Denis si è suicidato, il caso è chiuso.
Domizio vuole riportare Denis a casa il prima possibile, allontanarsi da Cosenza, cercare di vederci chiaro. Dopo il funerale in Calabria, è prevista una cerimonia funebre anche nel ferrarese. Padre Fedele, il capo ultrà cosentino che ha celebrato le esequie e che accompagnerà Monsignor Ruini in quelle emiliane, nel tragitto verso il nord mette in guardia Domizio. Gli dice chiaramente che il figlio è stato ucciso, e che una delle prove stava nei vestiti che portava addosso.
L’autopsia viene praticata a Ferrara cinquanta giorni dopo la morte di Denis, dopo la riesumazione del cadavere, che è ben conservato. Il medico legale, Professor Avato, non ha a disposizione i vestiti di Bergamini (che sono stati bruciati a Cosenza) e ha poche foto del cadavere. Le immagini non sono utili: il corpo è nascosto da una coperta, spuntano solo i piedi e le scarpe, per altro intatte. Il medico legale non può vedere nemmeno il viso. Inoltre, non dispone dei rilevamenti effettuati sulla Statale 106. Il ritardo dell’esame autoptico impedirà di stabilire con precisione l’ora della morte, ma accerterà che è avvenuta per “arresto cardiaco e dissanguamento, con una feria ampia a partire dalla parte destra del bacino (quella opposta alla descrizione dell’impatto col camion nella testimonianza di Isabella, ndr), unica parte del corpo lesa”. La morte “sarebbe avvenuta in poche decine di secondi”. Non ci sono fratture. Non ci sono ecchimosi. Dati incompatibili con il trascinamento del corpo per oltre sessanta metri. L’esame consente anche di stabilire che il corpo è stato “sormontato parzialmente da un mezzo pesante con moto lento”. Il corpo di Denis era supino, e dai rilievi emerge -Denis era astemio- la presenza di una percentuale di alcool dello 0.6%. Nuovi esami potrebbero stabilire se questa presenza possa essere associata all’assunzione di un narcotico.
Bastano dunque pochi giorni per trasformare i dubbi dei Bergamini in una certezza: Denis è stato ucciso. Una convinzione che si diffonde anche in curva e per le strade della città. La fidanzata romagnola del calciatore, intanto, decide di uscire allo scoperto: scrive una lettera alla famiglia presentandosi a Domizio e Donata. Riferisce tutti i dettagli della conversazione del Giovedi sera, due giorni prima della morte di Denis. E’ molto attenta. La telefonata l’ha turbata e ne ha trascritto ogni singolo passaggio, una volta appreso della scomparsa. E’ molto precisa. La sua collaborazione, attiva ed efficace, è ritenuta decisiva.
Per la giustizia italiana la storia è un’altra. Viene istruito un processo per omicidio colposo contro il camionista, è il 1991: il procedimento si chiude con l’assoluzione piena del conducente. La strategia dei legali della famiglia Bergamini non porta ai risultati sperati. Gli avvocati insistono su una linea che a posteriori sembra piuttosto discutibile: ottenere un primo successo, dimostrare che c’è stato omicidio colposo, che Denis è stato investito per sbaglio, per poi tornare sulla dinamica e ribaltarla adducendo l’omicidio volontario. Le testimonianze chiave sono quella di Isabella e del Brigadiere dei Carabinieri di Roseto Capo Spulico. La corte stabilisce che l’autista non ha avuto il tempo per frenare dopo il “tuffo” di Denis. Non c’è stato omicidio colposo: Denis si è suicidato. Non vengono tenute in considerazione le tante voci che si rincorrono sulle reali cause della morte. Al punto che non viene effettuato nessun approfondimento sulle telefonate ricevute da Denis nei giorni immediatamente precedenti la morte. Tutti dati che oggi non sono più rintracciabili nei tabulati.
La Maserati di un calciatore, “pulita”, per trafficare droga verso il Nord non destando sospetti; possibili omissioni di Padovano, sotto inchiesta dal 2006 per spaccio internazionale; l’inquietante coincidenza della scomparsa in un incidente stradale -sulla stessa strada dove venne trovato il corpo di Denis- di due dipendenti del Cosenza che avevano promesso importanti rivelazioni alla famiglia sul caso, al termine del campionato; le piste più credibili su cui le contro-inchieste si sono mosse con decisione non sembrano sufficienti a portare alla verità. Anche il libro di Carlo Petrini, ignorato a lungo dalla stampa sportiva, ha avuto il grande merito di fermare l’attenzione su questa storia, di fornire elementi utili nelle ricerche palesando tutte le contraddizioni della tesi ufficiale, ma non indica il possibile movente dell’omicidio.
Dopo anni di ricerche, oggi Donata Bergamini può fornire dati certi su queste piste. “La macchina si è mossa da Cosenza solo una volta. Denis l’ha portata qui per farcela vedere una volta sola: l’aveva comprata da poco tempo. Si è parlato di doppi fondi ma abbiamo scoperto che la fessura vicino al cambio serviva per attaccare il ricevitore di uno dei primi telefoni cellulari, quelli con il filo attaccato. Quando la Maserati è stata venduta a Denis il telefono è stato staccato ed è rimasto il buco, poi coperto con un accessorio. E comunque, in poche settimane, non ci sarebbe stato il tempo di organizzare un traffico di stupefacenti.”
Michele Padovano, prima di vincere tutto con la maglia della Juventus, è stato il centravanti del Cosenza. Intervistato da Carlo Petrini per il libro Il Calciatore Suicidato, si è rifiutato di rispondere alle domande più scomode e ha strappato all’ex centravanti il nastro con la registrazione. Viveva con Denis, era uno dei suoi amici più cari, probabilmente ne conosceva molti segreti. Dopo il funerale, è stato lui a riaccompagnare a casa Isabella trovando sul posto un clima tutto fuorché angosciato. Nel 2006, chiusa la brillante carriera di calciatore, e dopo diversi incarichi da dirigente sportivo, il nome di Padovano è stato riaccostato a quello del compagno scomparso, quando il suo nome è finito sotto inchiesta per traffico internazionale di droga. Padovano è stato in carcere a Cuneo e andrà a processo.
“Non ho mai pensato che potesse esserci un collegamento tra quelle inchieste e la fine di mio fratello. In questi anni con Michele ci sono stati anche dei momenti tesi. Volevamo vederci chiaro, andare in fondo alle cose. Abbiamo pensato che non ci avesse raccontato tutto. Ma negli ultimi mesi, quando mi sono fatta viva per raccontargli delle novità sull’indagine, si è messo totalmente a nostra disposizione. Anche altri compagni sono con noi. Michele mi ha spiegato che l’episodio con Petrini, quello della cassetta, era dovuto ad un momento di forte tensione personale. D’altra parte, sono una donna e una mamma. Non penso che avrebbe potuto vivere tutta la vita con un figlio che ha chiamato Denis se non fosse stato sincero nel ricordo di mio fratello”.
Non ci sono riscontri nemmeno sul fronte scommesse, e per la morte dei due massaggiatori -che erano riusciti a far avere alla famiglia di Denis le sue scarpe e che si apprestavano a rilasciare informazioni.
Al giro di boa dei vent’anni dalla morte di Denis, Donata e Domizio continuano a combattere la loro battaglia in solitaria. Dietro la fine di Denis c’è molto di oscuro, che non riguarda solo i nomi degli assassini, il movente e le circostanze della morte, ma che incrocia direttamente il lavoro degli inquirenti e delle autorità locali. Sono stanchi ma convinti di poter arrivare fino in fondo. In questi anni hanno subito minacce e depistsaggi, si sono vestiti da investigatori e da giornalisti, e hanno potuto saggiare nella quotidianità tutta la distanza tra lo stato e il cittadino che cerca giustizia. Hanno potuto contare sulla solidarietà di molte persone, ma anche su pochi fatti concreti. Vent’anni contro i mulini a vento arrivano anche a fiaccare le risorse economiche di una famiglia benestante.
Da qualche mese, però, il vento sembra aver cambiato direzione. Il gruppo su Facebook prende corpo, Donata decide di chiedere una mano al sindaco della sua città, Argenta, e il caso torna sui tavoli della politica. “Non volevo fare una battaglia di colore politico. Avevo solo bisogno di aiuto. Il sindaco mi ha ascoltato, e nel giro di poche ore, grazie al consigliere regionale Giacomoni, ho conosciuto l’Avvocato Gallerani che si è preso a cuore il nostro caso, lavorando giorno e notte per arrivare alla verità. Per fortuna ho incontrato delle persone splendide in questa fase della nostra ricerca, non fossi stata cosi fortunata avrei continuato a bussare ad altre porte della politica, anche quelle delle più alte cariche dello stato”.
Nel mese di Dicembre, il parlamentare ferrarese del Pd Alessandro Bratti firma una interrogazione parlamentare -controsegnata da Walter Veltroni, Dario Franceschini, Giovanni Lolli, Marco Minniti e Rosa Calipari- per fare luce sull’operato della Squadra Mobile di Cosenza nei giorni successivi alla morte di Denis.
Sarebbero al vaglio gli elenchi degli agenti trasferiti dalla Questura di Cosenza in quel periodo, un paio di loro avrebbero lavorato sul caso Bergamini e poi sarebbero stati rimossi. A fine Dicembre, la mobilitazione nata su Facebook porta tra le strade della città centinaia di persone.
A Gennaio, i legali della famiglia Bergamini vengono a conoscenza di un particolare inquietante, di cui sono stati all’oscuro per sedici anni. Nel 1994 venne aperta dalla Procura di Castrovillari una indagine preliminare per omicidio volontario contro ignoti, circa due anni dopo la definitiva assoluzione dell’autista del tir per il reato di omicidio colposo, che ha sostanzialmente certificato -per lo stato italiano- il suicidio di Denis. Una nuova inchiesta che si apre e che naufraga dopo pochi mesi, ma che resta comunque un segnale molto importante. All’epoca la famiglia non venne nemmeno avvisata dell’apertura del fascicolo, proprio nelle settimane in cui Oliviero Beha riportava con forza il caso Bergamini all’attenzione degli ascoltatori di Radio Zorro. I legali stanno passando al setaccio le carte per scoprire i motivi che portarono alla apertura e alla quasi immediata chiusura del fascicolo. La procura, nonostante il lavoro della Mobile di Cosenza, avrebbe avuto in mano troppi pochi elementi per procedere, ma non sarebbero mancati anche errori di valutazione e nelle investigazioni. Basti pensare che l’avvocato Gallerani è riuscito ad entrare in possesso di alcune fotografie ritenute molto importanti solo qualche settimana fa. Foto che descrivono il ritrovamento del corpo di Denis e la scena del crimine. “E’ incredibile” racconta Donata “quelle foto sono state stralciate dai Carabinieri perchè ritenute di scarso interesse. Probabilmente nemmeno il Pm Liguori le ha avute a disposizione durante le indagini preliminari per omicidio volontario. Sono in una pratica segnata con il numero 1bis, e la specifica elenco della rimanenza delle foto trattenute perché ritenute ininfluenti. Ci sono dentro dati molto interessanti”.
Gli ultimi sviluppi del caso Bergamini sembrerebbero escludere dunque piste legate al totoscommesse, a possibili traffici di droga, ad infiltrazioni della n’drangheta nell’ambiente della squadra. Lo scenario dietro la morte del centrocampista potrebbe essere un altro? Quello meno battuto, legato alla sua storia personale, negli anni cosentini? Una pista che meno di tutte avrebbe giustificato una fine violenta e vent’anni di depistaggi, anche se ultimamente, racconta Donata “ci stanno arrivando diversi segnali positivi, qualcosa si sta aprendo”. La famiglia Bergamini si è fatta una idea molto precisa dei fatti, mentre la strategia dei legali punta decisa sulle perizie necessarie a stabilire l’esatta dinamica della morte di Denis. “Sono passati vent’anni, finalmente i nostri tecnici possono lavorare sui risultati dell’autopsia incrociandoli con le nuove immagini di cui siamo entrati in possesso, i tracciati stradali e le foto del corpo di Denis effettuate a margine dell’autopsia dal Professor Avato” racconta l’avvocato Eugenio Gallerani. “E speriamo che possano arrivare nuovi riscontri anche in sede testimoniale”.
Nel frattempo, su Facebook non si fermano le richieste di verità e giustizia per Donato. E se questa vicenda sembra avvicinarsi alla svolta decisiva, a Donata non resta che continuare a sperare nella giustizia. Il 18 Aprile è nata una associazione, si chiama Verità per Denis Bergamini. Nell’atto fondativo si legge: l’Associazione si propone, tramite la promozione e sviluppo di attività sportive, ludiche e di spettacolo, di reperire fondi per il conseguimento di due obiettivi fondamentali: riapertura del processo, che si concluse frettolosamente e superficialmente con la sentenza di suicidio; sostegno e beneficienza per quanti, accomunati da uno sfortunato destino, necessitino di aiuto.
“Ci occuperemo di casi simili a quello di mio fratello, perché nessun’altra famiglia debba passare lo stesso travaglio giudiziario. Ma non vorremmo limitarci a questo” spiega Donata. “Pensiamo di poter lavorare tanto anche sui bambini in difficoltà, magari con una sede nel ferrarese ed una a Cosenza”. Intanto, è partita una sottoscrizione per sostenere le spese necessarie per le perizie. La famiglia ha invitato tutte le persone che volessero dare una mano -mondo del calcio in testa- ad effettuare un versamento sul conto corrente Bancoposta intestato a Donato e Domizia Bergamini. Il codice Iban per il versamento è IT45C0760113000000002349417. Altrimenti si può fare un versamento sul conto corrente postale numero 2349417.
“L’affetto che abbiamo intorno è fondamentale. Ci stanno arrivando diversi versamenti, anche dall’estero, ma c’ abbiamo ancora bisogno di aiuto.. L’entità del versamento non è importante. E’ il gesto che conta. Vogliamo ringraziarli. Stiamo pensando di raccogliere tutte i nomi delle persone che ci hanno sostenuto e le loro causali di versamento in due registri, che metteremo al cimitero di Boccaleone d’Argenta dove riposa Denis, e a Cosenza.” La sfida è quella di trasformare una verità ormai accettata pacificamente dalla società civile, quella dell’assasinio di Denis, in una verità giudiziaria. Nel giro delle prossime settimane potrebbero esserci grosse novità. Intanto, Denis continua a vivere attraverso Facebook, in un memorial tra le squadre in cui ha militato (Argentana, Russi e Imolese) e nei luoghi dello sport cosentino. Un murales lo ricorda all’ingresso della curva. “La nostra curva, la nostra storia” è la scritta che accompagna l’immagine del calciatore sorridente in maglia rossoblù. Un busto è stato scoperto sulla pista dello Stadio San Vito. Sul posto dove Denis è stato ritrovato cadavere c’è una piccola lapide, sciarpe rossoblù, qualche fiore. Sembra un ricordo di una vittima della strada. Sulla lastra manca il nome. “Non ci sarà il nome di Denis” conclude Donata “finchè non saranno chiarite le circostanze della sua morte”. Anche quel quadratino di marmo aspetta la verità.
Paolo Matteo Maggioni – 27 anni, milanese, lavora a Radio Popolare di Milano dal 2002. Scrive e conduce il magazine di costume e società di Popolare Network jalla!jalla! E’ lo speaker e dj dello stadio di San Siro per le gare interne dell’Inter. Sta preparando la sua tesi di laurea sulla Milano di Beppe Viola. E’ appassionato di storia della Resistenza e di memoria divisa degli italiani.