PER IL CASO DELLA MORTE DELL’EX CENTROCAMPISTA DEL COSENZA, DA CASTROVILLARI È STATA RICHIESTA L’ARCHIVIAZIONE. ORA IL GIP DEVE RISPONDERE: IN ESCLUSIVA A FANTAGAZZETTA, PARLANO IL LEGALE DELLA FAMIGLIA E LA SORELLA DEL CALCIATORE
Caso Bergamini, avv. Anselmo: “Faremo comunque accertamenti”
di Alfredo De Vuono
Per definizione, oltre che tradizione, le partite durano 90 minuti. Quasi tutte, ovviamente. Perché quando la partita è particolarmente importante, oltre che decisiva, come succede nelle Coppe, una sola non basta: e si ricorre, quindi, al duplice, fratricida, scontro di andata e ritorno. Anche a quel punto, però, può non esserci un migliore: ecco perché in alcuni casi le partite possono durarne anche 120, se non addirittura di più, se si considera il fatto che, al termine dei supplementari, l’unico modo per decidere il vincitore è affidarcisi alla tremebonda lotteria dei rigori. Al termine dell’andirivieni dal dischetto, poi, non esistono superstiti: i vincitori proseguono dritti per loro strada, che potrà portarli, o meno, alla gloria. Gli sconfitti, invece, tornano a casa, annientati dal tormento ansiogeno di chi sa di non aver dato tutto quello che poteva o – nel migliore dei casi – stremati, ma soddisfatti. Sazi e orgogliosi, consapevoli di aver messo sul campo, quale esso sia, tutti i propri sforzi, sino all’ultima goccia di sudore ed all’esaurimento delle proprie energie.
Bene: col caso Denis Bergamini siamo arrivati esattamente a questo punto, e con questa, particolare, e gratificante sensazione addosso. Quella di aver fatto il fattibile, detto il dicibile, tentato il tentabile. Esausti, indefessi, quasi provati. Ed ansiogeni, perchè attesi ormai solo dal triplice fischio d’un arbitro che veste panni ed oneri del Gip di Castrovillari. Che però, a conti fatti, sta già per portare il fischietto alla bocca: il problema è che la famiglia Bergamini, l’Associazione che la sostiene da anni, i tifosi del Cosenza e tutti coloro che ricercano nel calcio, oltre che passione, emozioni e relax, anche dei dovuti atti di giustizia, sono sotto di un gol. Poi, se fischio finale sarà, e senza l’ennesimo contro-ribaltone, significherà che l’opposizione alla richiesta di archiviazione della Procura – dopo la riapertura del caso nel 2011, e con due indagati (concorso in omicidio e falsa testimonianza) sotto la lente d’ingrandimento – è stata rispedita al mittente. E sancita così la fine d’una partita assai più lunga, oltre che importante, di tutte le altre. Perché dura da oltre un quarto di secolo.
Tribunale di Cosenza, 28 febbraio 2015 – © Fantagazzetta
Decifrare i ruoli delle contendenti è impresa ardua. Talmente ardua da aver smosso, oltre che le forse dell’ordine, i reparti investigativi e le stanze dei tribunali, anche e soprattutto due intere generazioni. Le loro coscienze collettive; le loro riflessioni che diventano leggende, indiscrezioni, piste su cui lavorare; la loro prossimità emotiva ad una famiglia che s’è vista strappare un figlio, un fratello ed uno zio a soli 27 anni. Quel che è certo è che in campo, con la maglia dell’arbitro, dovrebbe esserci la giustizia. Che però ha i suoi tempi, i suoi modi, ed i suoi limiti: e proprio come accade nel calcio che raccontiamo quotidianamente su queste pagine, non sempre può, o riesce, a tramutarsi in verità. Eppure queste due parole continuano a campeggiare, unite per assurdo a doppio filo dal sangue, dinanzi a un tribunale: quello di Castrovillari, da cui è attesa la sentenza. A circa un’ora di macchina da dove il Denis Bergamini calciatore, che qui era diventato idolo della tifoseria e progetto di campione da esportare in Serie A a fare da guardiaspalle ad un certo Roberto Baggio, abitava. E ad un centinaio di chilometri da dove, il 18 novembre 1989, trovò la morte in circostanze tanto misteriose quanto incomprensibili, considerato che il ragazzo venne dato per suicida.
Tribunale di Cosenza, 28 febbraio 2015 – © Fantagazzetta
Non ci crede nessuno a Cosenza. Non ci si credeva 25 anni fa, quando una telefonata avvertiva in ritiro i suoi sbigottiti compagni ed i dirigenti rossoblu. Non ci ha mai creduto la famiglia, che attraversò mezza Italia per vedersi recapitare solo un mucchio di confuse indicazioni di massima a motivazione della morte. Non ci credeva nessuno nel 2009, quando in maniera assolutamente spontanea centinaia di persone si ritrovarono in piazza, al fianco dell’instancabile sorella Donata, per urlare con rabbia la propria fisiologica fame di verità. E non ci crede nessuno neanche oggi, a oltre 190 giorni dalla richiesta di archiviazione d’un caso che solo il lavoro instancabile dell’avvocato Gallerani era riuscito a riaprire, ormai anni fa. Per capire cosa stia succedendo, e perché i tempi si siano così ulteriormente dilatati, abbiamo chiesto nuovamente lumi all’avvocato Fabio Anselmo del foro di Ferrara, da ormai qualche mese al fianco della famiglia Bergamini alla ricerca d’una verità che 26 anni di oblio rischiano di disperdere per sempre.
L’avvocato è uno che, nelle partite d’altissimo tenore e nei casi disperati, dà il meglio di sé. Prima di Donato Bergamini, in uno sconfinato elenco che pare esser fatto di sole finali di Champions League, ha seguito i casi Davide Bifolco, Giuseppe Uva, Riccardo Rasman, Riccardo Magherini (figlio di Guido, mezzala del Milan degli anni ’70, ed a sua volta ex calciatore: con la Fiorentina vinse il Viareggio ’92), Giuseppe Uva, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi. E adesso, Denis Bergamini.
Avvocato, il tempo passa e non ci giungono novità dalla Procura. Lei negli scorsi giorni ha parlato anche di riesumazione e Tac tridimensionale.
“Certo, e l’effettuazione di indagini di carattere istologico che attraverso dei marker – tecnologie utilizzate, ad esempio, dalla Sapienza di Roma – possono determinare con precisione il momento della morte, rispetto a quello che sappiamo delle lesioni. Questo sarebbe ovviamente un aspetto decisivo per lo sviluppo delle indagini”.
L’eventuale accettazione di questi esami cosa comporterebbe?
“L’approfondimento istruttorio ovviamente significherebbe rigetto della richiesta di archiviazione. Siamo al 2 settembre, ormai: a febbraio abbiamo discusso in udienza la posizione d’archiviazione, e sono passati tanti mesi di riserva. Ora diventa tutto quasi surreale”.
Le sue sensazioni oggi quali sono? Il fatto che si sia preso così tanto tempo, il GIP, che significa?
“Più che altro le considerazioni sono legate alla tempistica: superati i 7 mesi, la cosa diventa inevitabilmente molto sbiadita, nonostante siano state fatte memorie scritte. Il senso diffuso, questo possiamo dirlo, è di frustrazione. Ci stiamo ormai avvicinando ai 9 mesi della gestazione d’un parto, d’altra parte. Ora aspettiamo di capire che sorte avrà questo procedimento”.
Le rifaccio la stessa domanda che le feci qualche tempo. Siamo a ridosso, lo dicevo prima, del triplice fischio d’una partita lunghissima. Forse la più lunga della storia del calcio. La domanda è: se l’arbitro inevitabilmente è la giustizia, e da una parte c’è Lei, la famiglia Bergamini, l’associazione e i tifosi, dopo così tanto tempo Lei ha capito chi c’è dall’altra parte?
“Purtroppo no. Abbiamo un processo d’indagine che rappresenta evidentemente un atto d’accusa importante rispetto a fatti ed episodi, e soprattutto rispetto a determinate ricostruzioni, come il suicidio. E siamo qui ancora a raccontarci le stesse cose: una riserva così lunga non ce l’aspettavamo. Speriamo che per noi porti notizie positive e che il provvedimento di scioglimento della riserva rispetti le nostre aspettative”.
Lei e la famiglia, dopo quasi 26 anni, avrete contemplato la possibilità che si arrivi all’archiviazione. A quel punto, cosa potrebbe accadere?
“Quegli accertamenti tecnici, con l’aiuto di tutti – visto il costo – speriamo di poterli fare comunque. Anche in caso di archiviazione. L’intendimento è quello di farli in ogni caso: in caso di archiviazione non possono negarci l’accesso a quei reperti istologici, né la possibilità di effettuare quegli accertamenti scientifici che, a quel punto, faremo noi. La famiglia intende fare comunque tutto ciò che è necessario per poter sapere, e dimostrare, se così è, che Denis Bergamini, al momento in cui era coricato – come dicono i medici legali – sull’asfalto, era vivo o era già morto”.
La verità a prescindere.
“Si, perché non accettiamo il suicidio. E non perché respingiamo l’ipotesi dolorosa, ma perché non è vera. Anzi: suona quasi grottesca, alla luce di quel che sappiamo sotto il profilo tecnico e scientifico e che ha prodotto chi ha lavorato per la Procura”.
Ultima ipotesi: il GIP archivia, la famiglia chiede ed ottiene la riesumazione e gli accertamenti, e questi danno gli esiti che in molti sospettano. A quel punto è possibile iniziare un nuovo percorso legale, per questa tragica storia?
“Tecnicamente non è inibito, perché un decreto di archiviazione non è suscettibile di passare in giudicato. Come è stato riaperto una volta, può essere riaperto un’altra. Ma facciamo un passo alla volta: di sicuro la famiglia non molla”.
E non molla di certo neanche la famiglia, ‘capitanata’, in questa partita infinita e caotica, dalla sorella coraggio di Denis, Donata, presidentessa dell’associazione ‘Verità per Denis‘ ed ancora oggi, dopo oltre un quarto di secolo, in attesa di ciò che le spetta: la giustizia. Abbiamo nuovamente chiesto anche a lei le sue impressioni.
Un’attesa snervante, che sembra non finire mai, Donata.
“Sono 192 giorni ad oggi, che stiamo aspettando. E’ comprensibile, data la complessità della cosa e le ferie, ma l’ansia continua a crescere per una famiglia che aspetta la verità. Mi auguro però che questa attesa sia giunta finalmente al termine. C’è una verità che è nascosta e che deve venire a galla: io non mi fermo, a maggior ragione viste le cose che sono venute a galla ultimamente. Mi chiedo come possa fermarmi, dopo che determinati accertamenti hanno avvalorato la tesi che noi familiari sosteniamo dal 1989. Mi chiedo come possa la giustizia accettare una cosa così. E se così fosse, significherebbe che in questo Paese non c’è giustizia”.
Verità a prescindere, dicevamo con l’avvocato: la riesumazione si farà comunque.
“Non mi fermo. Farò qualsiasi cosa. Sono anche disponibile a capire che “forse” tutta la verità non verrà mai fuori, ma quel che deve venir fuori è che Denis non si è suicidato. Come sorella non accetto che, nonostante tutto quel che è venuto a galla, i testimoni non dicano nulla. Visto che ci sono i testimoni, ed abbiamo la fortuna di averli in un caso tragico come quello d’una morte, per quale motivo non si debbano ricongiungere le loro dichiarazioni con ciò che hanno dimostrato i periti e i RIS? La distanza è enorme, e si viaggia su strade completamente diverse: è surreale”.
Quello che invece è certo, è che di Donato Bergamini non si dimentica mai nessuno.
“Nel 2009, alla prima manifestazione organizzata dall’Associazione Verità per Denis, un giovane tifoso mi avvicinò, e mi disse che voleva regalarmi una maglietta che Denis, da calciatore, gli aveva regalato, anni fa. Un ricordo per lui importantissimo, che portava sempre con sé e gli dava tanta vita. Me la offrì, dicendo che era disposto a privarsene. Io gli dissi che doveva continuare a tenerla, perché l’avrebbe aiutato nel corso della vita. Quest’anno questo ragazzo se n’è andato, e mi è stato proposto di mettere all’asta la maglietta: dopo essermi sentita con la sua famiglia, abbiamo deciso di lasciarla alla famiglia. Sarà di proprietà dei due papà: il suo e quello di Denis, che hanno entrambi perso un figlio”.
La prossimità, non solo emozionale, si rivede poi anche in campo.
“Per quanto riguarda il ricordo di Denis, tutto prosegue come sempre: ci sono continue manifestazioni calcistiche che portano avanti i valori sani dello sport. Si è ormai creata una stupenda sinergia tra società sportive, che coinvolgono centinaia e centinaia di giovani. Nei tornei in memoria di Denis solo in Emilia Romagna ogni anno muoviamo circa 400 giovani. E poi c’è stato il torneo estivo organizzato in Calabria dalla Scuola Calcio Denis Bergamini, le stupende coreografie, i tifosi, sempre presenti e attenti a questa vicenda come anche la società civile. Manca solo la giustizia”.
Tra pochi giorni sarà il compleanno di Denis.
“Non siamo ancora al 18 di settembre, giorno in cui avrebbe compiuto 53 anni. Sarebbe bello sapere qualcosa, entro quel giorno. Ad oggi ciò che sappiamo è che solo quando l’asfalto diventerà un mare anche i morti si potranno tuffare”.
E intanto, come diceva la stessa Donata due mesi fa, il tempo se ne va.
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