Domizio ha la voce calma e fiera di chi nella vita ha sempre lavorato, di chi non ha mai dovuto raccontare e raccontarsi balle. Domizio Bergamini ha la voce calma e fiera di chi ha perso un figlio e ancora, in cuor suo, chiede giustizia per una morte, per un assassinio. Quando ha capito che Donato era stato ucciso? «Abbiamo capito subito che l’avevano ucciso, perché quando ci siamo recati a Cosenza i vestiti erano spariti, il camion che lo doveva aver investito era sparito… oltretutto ci hanno dato subito indietro la macchina di Donato, che pensavo dovesse servire agli inquirenti per le indagini». Perché? «Donato era un ragazzo cristallino, genuino. Era impossibile corromperlo e lo hanno usato a sua insaputa, il resto viene da sé. Impressione che mi è stata confermata da una ragazza che, anonimamente, mi ha chiamato più volte dopo la morte di Denis». Di cosa stiamo parlando? «Stiamo parlando di un Maserati targato Ferrara che gira per le strade di Cosenza, una macchina che mio figlio è stato ‘quasi’ costretto a comprare. Una macchina così in un posto come Cosenza era riconoscibilissima, tutti sapevano che era di Donato Bergamini, chi l’avrebbe mai controllata?». Spaccio di droga, quindi, ma anche partite vendute, l’inferno di un calcio deviato. «Sono convinto che quando Denis ha scoperto la tresca si sia arrabbiato (eufemismo, n.d.r.) e ribellato, andando incontro alla morte». Come mai queste verità non sono venute fuori prima? «Le racconto questa. Io e mio cognato siamo andati alla Questura di Cosenza, eravamo noi due e due poliziotti chiusi in una stanza. Mi hanno detto che Donato era stato ucciso, che sapevano chi era stato e che lo dovevano incastrare, ma soprattutto che il corpo era stato portato in mezzo all’autostrada perché l’inchiesta cadesse sotto un’altra giurisdizione (quella di Castrovillari, n.d.r.), per poter poi ‘pilotare’ il processo». Ha mai chiesto aiuto a qualcuno per scoprire la verità su suo figlio? «Sì, mi sono rivolto a persone importanti che ricoprivano ruoli significativi, chi in politica, chi in magistratura. Nessuno si è negato, ma tutti mi hanno detto che se volevo arrivare in fondo a questa storia mi dovevo ricordare di avere dei nipoti… Pensi che, durante Tangentopoli, un giornalista mi disse: ‘altro che politica, il giorno che i giudici s’interesseranno del calcio ne vedremo delle belle’». C’è un amico, calciatore, di Donato che l’ha delusa? «Michele Padovano. Mi aveva promesso una verità che non mi ha mai raccontato». Che ne pensa del libro scritto da Carlo Petrini? «Petrini ha scritto la verità. Ha fatto ricerche approfondite sulla vicenda di Denis e mi ha permesso di venire a conoscenza di cose che prima ignoravo. Tanto per fare un esempio, noi al momento del processo non abbiamo visto tutte le carte processuali, che ci spettavano di diritto. Il medico legale ha dichiarato che mio figlio aveva il petto sprofondato e la fuoriuscita degli organi sulla strada. Noi a Donato abbiamo fatto l’autopsia: aveva solo un taglio all’altezza della gamba destra». Contraddizioni, menzogne per dire che un giovane calciatore nel pieno degli anni e della carriera a un certo punto decide di gettarsi sotto a un camion. Di cosa è convinto oggi? «Che la verità non verrà mai fuori e che Donato è stato ucciso». Questa, in sintesi, è la storia italiana di Domizio Bergamini e di un figlio perso per sempre.
Francesco Cerami