Denis Bergamini, la sorella: «La verità prima che i nostri genitori muoiano. Non trasferite il pm Facciolla»
La manifestazione davanti al tribunale di Cosenza contro il trasferimento del procuratore che aveva riaperto il caso: «Quello che ha fatto lui in due anni, non lo aveva mai fatto nessuno.
E soprattutto aveva riacceso le nostre speranze»
Trent’anni senza la verità. E ora che ci si stava avvicinando, a piccoli passi, l’inchiesta sulla morte di Denis Bergamini – calciatore del Cosenza morto a 27 anni in circostanze ancora tutte da chiarire sulla Statale 106 il 18 novembre del 1989 – rischia una nuova battuta d’arresto. Ecco perché la sorella del giocatore, Donata, sarà in prima fila durante la manifestazione organizzata oggi, sabato 7 dicembre, a Cosenza e lancia il suo grido di allarme: «Non lasciateci di nuovo soli. Abbiamo diritto a sapere che cosa è successo a Denis». La mobilitazione, alle 15 davanti al tribunale, è stata decisa per protestare contro il trasferimento a Potenza del procuratore di Castrovillari, Eugenio Facciolla, che aveva riaperto le indagini: trasferimento deciso dal Csm. Il magistrato è accusato infatti di corruzione e falso. In particolare gli viene contestato l’uso illecito di una scheda telefonica e falso su presunte irregolarità nell’affidamento alla Stm, società che si occupa di intercettazioni, del noleggio di apparecchiature.
La svolta due anni fa
Nell’immediato la morte di Bergamini venne «bollata» come suicidio e l’unico imputato per omicidio colposo, il camionista che investì il corpo del centrocampista, venne assolto. Anche una seconda inchiesta, del 2011, si concluse con un’archiviazione, nonostante una consulenza del tribunale che parlava di omicidio: morto per soffocamento con un sacchetto di plastica in testa. Anche il fatto che l’orologio funzionasse ancora, i vestiti, le scarpe e la collana fossero intatti erano incompatibili con un trascinamento di 60 metri sull’alsfalto. Poi due anni fa, si aprì uno spiraglio. Su istanza dell’avvocato Fabio Anselmo (lo stesso che difende la famiglia di Stefano Cucchi), la procura di Castrovillari dispose la riesumazione del cadavere di Denis e una nuova autopsia. I risultati furono inequivocabili e in linea con gli esami di qualche anno prima: Denis non si suicidò, ma venne ucciso. Soffocato. Solo dopo venne adagiato sulla strada e quindi investito, quando era ormai senza vita, dal mezzo pesante. Eppure il procuratore capo che ha permesso di avvicinarsi alla verità su quella morte avvolta nel mistero, Eugenio Facciolla, adesso viene trasferito. Ragione per cui oggi, sabato 7 dicembre, alle 15 davanti al tribunale di Cosenza si terrà una manifestazione e una raccolta firme per bloccare il provvedimento. Nata e cresciuta con il passaparola in rete. E a cui parteciperà anche la sorella di Denis, Donata, che da anni lotta per sapere chi ha tolto la vita a suo fratello. «Saremo tante lucciole della giustizia – racconta – a chiedere che Facciolla possa finire quello che ha iniziato. Mai nessuno ha fatto quello che ha fatto lui in appena due anni. Un lavoro capillare. Ha ascoltato centinaia di persone. Riletto faldoni accumulati in trenta anni. Ricostruito documenti cancellati. Ora arriva questo trasferimento. Improvviso. E immediato. Noi familiari non possiamo non pensare che sia legato alla vicenda di Denis».
La vostra speranza è che Facciolla finisca quello che ha iniziato?
«Visto che i primi veri risultati sono arrivati con lui, sì. I miei genitori, che hanno 80 anni, non godono di ottima salute e sono provati per tutto quello che hanno dovuto sopportare nella vita, con lui avevano ritrovato la speranza. Adesso gli è arrivata questa ennesima fucilata. Pregano ogni giorno perché i colpevoli paghino».
In questi trent’anni vi siete fatti un’idea di chi siano i colpevoli?
«Di chi siano no. Ma di chi ha mentito, in tutti questo tempo, sì. E a mentire sono stati i due testimoni oculari: Raffaele Pisano, il camionista, e Isabella Internò, ex fidanzata di Denis».
Che poi sono gli indagati di oggi?
«Due dei tre, esatto. A loro si è aggiunto Luciano Conte, poliziotto e marito della Internò, che lei stessa all’epoca dei fatti indicò come amico e confidente. Oggi è indagato per favoreggiamento».
Come sono stati questi tre decenni alla ricerca della verità?
«I primi anni se a Cosenza entravamo in un bar, si svuotava in un attimo. Neanche fossimo noi gli assassini. Eravamo soli. Poi però la gente ha cominciato a starci vicino. E nel 2009 un ragazzo, incuriosito dal caso Bergamini, ha aperto un gruppo Facebook. E lì ho capito che non eravamo affatto soli. Erano tantissimi gli iscritti, anche ragazzi calabresi».
Neanche il mondo del calcio ha mai dimenticato Denis…
«Mai. C’è una scuola calcio che porta il suo nome. La curva sud dello stadio di Cosenza è intitolata a Denis. I miei figli, che sono sui social, tengono viva la sua memoria. E mi spingono ad andare fino in fondo: perché loro zio abbia finalmente giustizia».