Potrei raccontare tante cose di Denis, così come di tutti i ragazzi che allenai, ed a cui rimango ancora oggi profondamente affezionato.
Sono due gli episodi che mi colpirono di più. Uno, il primo, è un rammarico: senza colpevolizzare nessuno, ma per il mio modo di fare, di vedere il calcio, io ero uno di quelli che seguiva i suoi ragazzi metro per metro, giorno per giorno. Ed avevo un allenatore in seconda, Tonino Ferroni – peraltro, come Simoni, molto amico di Denis – che mi aiutava nel controllarli.
Non sono mai stato particolarmente ‘democratico’, in tal senso, nella gestione dei calciatori: anzi, ero abbastanza assolutista. Se entravamo in 20 al cinema, in 20 dovevamo uscire, e per questo sguinzagliavo Ferroni che mi sostituiva nel fare da ‘fratello maggiore’ ai ragazzi. Ecco perché, all’epoca, mi meravigliai moltissimo di come, Denis, quel giorno, abbandonò il cinema: lui non l’avrebbe mai fatto. Una cosa del genere non stava né in cielo né in terra.
L’altro momento che ricordo è legato ai funerali di Donato. A casa di Denis parlai con suo papà, Domizio: quando mi spiegò che l’orologio, anche a seguito dell’incidente, rimase intatto, oltre a tutto il resto, la prima cosa che gli proposi fu di chiedere un’autopsia. Andava fatta.
Denis, in ritiro, con Simoni, Ferroni e Padovano componeva il gruppo – anzi, il quartetto – degli inseparabili. Certo, con lui non avevo un rapporto vero e proprio di complicità, come poteva essere per mio figlio Gianluca, che, essendo più giovane, con lui faceva lunghe passeggiate.
Questo era Denis, un ragazzo semplice, sereno e giovale. Certo, come calciatore mi faceva anche arrabbiare. Era discontinuo e talvolta mancava di intensità: e per questo io, per educarlo, lo spronavo di frequente. Lo incattivivo. Volevo che desse sempre il massimo in campo, e lui lo faceva. Infine volevo che migliorasse ancora, e ancora: ecco perché, alla fine, con me ha sempre giocato. Perché aveva splendide potenzialità. Ottime potenzialità.
Tanto che Denis potrebbe essere tranquillamente collocabile, oggi, nel calcio moderno. Personalmente, in lui rivedo una sorta di antesignano di Pavel Nedved. Ecco, Denis era il mio Nedved, anche perché io mi circondavo, soprattutto a centrocampo, di giocatori rapidi, scattanti, proprio come Bergamini. La sua rapidità, accoppiata a quella di Urban, alla capacità agonistica e temperamentale di Giovannelli e Castagnini, dava alla mediana una quantità ed una qualità inaudita. Oggi in tanti usano il 4-3-3: bene, nel ruolo di ala largo, a sinistra, in attacco, Denis si sarebbe perso, ma i ruoli di mezzala mancina nei 3, oppure esterno nel 4-2-3-1, sarebbero stati una vera e propria manna per lui, per le sue capacità, e per chi avrebbe potuto schierarlo.
Un pò Mertens, un pò Hamsik, per riferirsi al Napoli, ad esempio. Esplosività, rapidità, dedito agli inserimenti: Denis, in qualche modo, anticipò il calcio di oggi, in cui i giocatori come lui sono richiestissimi. E nel quale lui, Denis, sarebbe stato benissimo.
Gianni Di Marzio – Allenatore, opinionista e dirigente sportivo