Vipiteno, Bressanone. Lunghe passeggiate insieme, quel sorriso sempre gentile, lo sguardo sincero e affettuoso. Io, figlio del suo allenatore.
Lui, l’amico in uno spogliatoio che mi aveva adottato. Ero piccolino, avevo 14, 15 anni: seguivo mio papà Gianni quando potevo, d’estate in ritiro e durante qualche festività. Denis mi accoglieva sempre da fratello maggiore, poche parole ma buone, la pacca giusta sulle spalle quando cadevo da solo durante le partitelle con la squadra. Non mi faceva sentire la differenza d’età, questo il suo segreto. E per me, rappresentava quella spalla rispettosa dove appoggiarmi nei momenti di imbarazzo e solitudine in un gruppo di ragazzi più grandi di me.
Ricordo quella sera maledetta, a cena fuori con i miei. Da Cosenza telefonarono, di colpo il gelo dipinto sul volto del Di Marzio grande, lo sconforto padrone di una famiglia. Rimasi in silenzio a lungo, penso senza dormire quella notte. Non potevo credere alla morte, per di più al suicidio, del mio amico Denis. Ripenso ai funerali e mi viene in mente l’incredibile e commosso abbraccio della città, gente ovunque, tutti per lui. Raramente ho riscontrato poi in altre occasioni una partecipazione simile dopo un dramma sportivo. Perché, in fondo, nessuno si è mai voluto rassegnare al fatto che non ci fosse più. Ognuno, nel suo piccolo, ha combattuto per cercare la verità. Per riportare in vita almeno la sua anima, macchiata da ricostruzioni balorde e voci incontrollate, cattive. Conservo ancora una foto prima di una partita del Cosenza, io vestito da raccattapalle con la sciarpa, vicino a quel biondino concentrato. Non era un caso, non è solo un’immagine. Almeno per me. Lo guardo, lo osservo, gli sorrido. Mi manca.
Gianluca Di Marzio – Giornalista Sky Sport
photocredits: www.gianlucadimarzio.com